Negli articoli di questo periodo abbiamo parlato di cambio di stagione, che non è solo quello del guardaroba, ma quello che può essere definito come il cambio di stagione dell’anima, ed uno dei modi per affrontarlo è uscire dalla propria zona di comfort. Ciascuno di noi ha la possibilità di fare questo percorso da solo con i propri mezzi, a patto di avere la volontà di trasformare quello che non ci piace più o non fa più per noi in qualcosa che lo sia. A volte però la sola volontà non basta, è allora il momento di scegliere di chiedere aiuto!
La volontà a volte non basta
Ci sono volte in cui la volontà da sola non basta, perché capita di non averne abbastanza, di sentirne la spinta ma non avere la forza fisica, emotiva e mentale per attivarla, o di inciampare, di perdersi, di avere la sensazione di girare in tondo senza andare da nessuna parte. L’educazione che abbiamo ricevuto, fa scattare il meccanismo del “ce la devo fare da solo” perché altrimenti sono debole, non sono all’altezza, non sono perfetto… e ovviamente ciascuno può mettere il proprio “non essere abbastanza” qualcosa. Allora ci intestardiamo, e più ci dibattiamo, ci agitiamo, ci affanniamo per uscirne da soli, più ci stanchiamo e diventa difficile. La meta desiderata si allontana, finiamo per scoraggiarci e per abbandonare. Con un doppio effetto: quell’insuccesso conferma il nostro “non sono abbastanza questo o quello”, e quella situazione non viene dimenticata, ma semplicemente accantonata, ma continua a fermentare e prima o poi, il prodotto di quella fermentazione la farà esplodere, e saremo punto e a capo… anzi peggio.
C’è una soluzione diversa: scegliere di chiedere aiuto
È difficilissimo scegliere di chiedere aiuto perché legate a questa richiesta ci sono tutte le credenze e le convinzioni connesse al significato di questo gesto. Siamo cresciuti in un modello educativo che tende a favorire ed a premiare l’auto-esigenza, il perfezionismo. È quasi come se corresse l’obbligo di dover essere autosufficienti e indipendenti. Ci siamo lasciati convincere che non abbiamo bisogno di nessuno per andare avanti e che ci si può basare soltanto su sé stessi, che scegliere di chiedere aiuto sia un segno di debolezza, e questa credenza si fonda su elementi diversi. Da una parte c’è l’orgoglio dall’altra c’è una barriera: io non voglio che l’altro conosca quelle che considero le mie debolezze e le mie difficoltà.
Nella cultura occidentale durante la crescita siamo sottoposti ad innumerevoli regole e modelli che condizionano le nostre scelte ed i nostri comportamenti. In molti di questi vi è radicata l’idea che ricevere aiuto sia sinonimo di inadeguatezza e incapacità. Quindi se è vero che da una parte potrebbe esserci l’orgoglio, dall’altra il vero motivo è questa convinzione: “se chiedo aiuto sono inadeguato, sono incapace!”. Questo è falso. Vogliamo credere di essere tutti dei Supermen o dalle Wonder Women che non hanno bisogno di nessuno per andare avanti, e questa convinzione si é radicata talmente che non ci fidiamo più di nessuno.
Proviamo a fare una piccola riflessione, quante volte siamo entrati in contatto con regole del tipo:
“non mostrare mai le tue debolezze agli altri perché gli altri non ti capiranno, penseranno che non sei capace, ti disprezzeranno?”
oppure un’altra, forse ancora più ricorrente:
“se vuoi ottenere qualcosa nella vita fallo da solo, chi fa per sé fa da sé fa per tre?”
Pensiamo a cosa possiamo ricavare dal vivere queste esperienze legate al mito dell’individualismo, dell’essere da soli come segno di forza.
Siamo degli animali sociali
Mai come in questo momento nel quale siamo costretti al così detto distanziamento sociale, ci stiamo rendendo conto di quanto queste regole in realtà siano innaturali. Come possiamo pensare di vivere questo mito dell’individualismo se viviamo contemporaneamente la sofferenza della distanza? C’è qualcosa di distonico. Ci muoviamo in un mondo super competitivo con la convinzione che ci sia sempre un meccanismo di dare e avere, il pensiere che ne scaturisce è: “se chiedo aiuto, dovrò restituire il favore”. Ma anche in questo caso poniamoci delle domande:
“Quando qualcuno mi chiede aiuto, mi aspetto di ricevere qualcosa in cambio, se quella richiesta è sincera e non ha un secondo fine nascosto?“
“Quando sono io a dare aiuto, mi aspetto di ricevere qualcosa in cambio?”
Prendiamoci un po’ di tempo per rispondere lasciando da parte quella che pensiamo sia la risposta giusta e soffermandoci su quello che davvero sentiamo.
Ammettere i propri limiti è un atto di coraggio
Scegliere di chiedere aiuto implica l’ammettere i propri limiti e di non avere tutte le risposte. Farlo è un atto di umiltà e di coraggio, attraverso il quale si riconosce di non disporre di tutti gli strumenti per superare quella situazione o per raggiungere quell’obiettivo. Chiedere ad una altra persona di aiutarci con i propri strumenti non significa mettersi un una situazione di inferiorità. Nessuno è superiore a nessuno. Pensiamo agli uffici dove spesso capita che nessuno conosca alla perfezione i vari programmi del computer, ma che la conoscenza sia diffusa fra tutti i presenti, perché ciascuno conosce alcune funzionalità. Quindi quando una persona non sa utilizzare una funzione, certamente c’è qualcun altro nella stanza che lo sa fare, e grazie al contributo di tutti c’è una conoscenza completa degli strumenti.
Allo stesso modo, nessuno di noi è superiore all’altro, ciascuno ha dei pezzi e mettendoli a disposizione degli altri ne riceve in cambio di diversi. Quindi se chiedo aiuto, sto chiedendo a quella persona di mettermi a disposizione degli strumenti che lui conosce e che io non ho, avendone a disposizione altri. Non c’è un tema di superiorità, ma c’è un tema di complementarietà. Questo ci rende più liberi nel chiedere, perché sappiamo che saremo pronti a fare la nostra parte, quando toccherà a noi, con la consapevolezza che dall’altra parte non ci sono pregiudizi ma una volontà di supporto reciproco.
La nostra cultura è basata sullo scambio
Certamente ci sono tantissimi di noi che hanno esperienze negative perché hanno incontrato delle persone che non sono state disposte a darci una mano o che si aspettavano una compensazione in cambio dell’aiuto dato. La nostra cultura è basata sull’interesse personale, sullo scambio di favori. In realtà il vero lo scambio non è nella restituzione del favore, ma proprio nella relazione che si crea. Nel momento in cui io ti sto dando un aiuto e ti sto dando i miei strumenti, tu mi stai restituendo qualcosa, perché mi stai mostrando come raggiungi il risultato o come risolvi il problema, e dalle tue azioni imparo. Allora davvero si innesca una relazione di scambio che se potesse essere rappresentata con un simbolo, avrebbe l’andamento a lemniscata, il simbolo dell’infinito, l’otto coricato. Dare e ricevere. Solo che ciò che riceviamo in cambio non è quello che ci aspettiamo, non è un favore ricambiato, ma è altro: è l’esperienza che l’altra persona ci porta raccontandoci la sua difficoltà e mostrandoci come la supera.
Azzardiamo a chiedere aiuto avendo fiducia nel fatto che non siamo soli e ci sono tantissime persone disposte ad aiutarci. Sviluppare questo coraggio aiuterà a generare sentimenti di generosità, di compassione, di attenzione reciproca, smettendo di sentirci giudicati, etichettati come sbagliati, diversi, e incapaci.
Il primo passo è “aiutiamoci ad aiutarci!”
Le prime persone a cui possiamo chiedere aiuto e trovare ascolto sono i nostri parenti ed i nostri amici. Capita però che amici e parenti non possano avere il distacco emotivo necessario per poterci aiutare o che abbiamo difficoltà ad aprirci completamente con loro. Allora possiamo scegliere di chiedere aiuto ad un professionista. Se soffriamo di un disagio ci rivolgeremo ad uno psicologo. Ma esiste un’altra figura: il coach. Il coach è il professionista che ci aiuta a trovare la strada verso il nostro obiettivo. la nostra meta o il nostro desiderio. Il significato della parola coach è allenatore: qualcuno che si mette al nostro fianco e ci aiuta, ci stimola, ci supporta nel trovare le risorse per raggiungere ciò che desideriamo per la nostra vita privata, la nostra vita professionale o le nostre relazioni.
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